La guerra in Ucraina, la poesia, l’empatia: una chiacchierata con Luca Alvino

Luca Alvino è nato nel 1970 a Roma, dove si è laureato in Letteratura Italiana. Nel 2021 ha pubblicato per Interno Poesia la raccolta poetica Cento sonetti indie. Fa parte della redazione della rivista «Nuovi Argomenti», per la quale si è occupato della scrittura di saggi critici e di traduzione poetica.

In classe abbiamo letto un suo sonetto dedicato alla guerra in Ucraina, che ci ha colpito al punto da decidere di rivolgergli alcune domande. L’autore è stato così cortese da volerci rispondere: ne è nato un dialogo molto stimolante, che riportiamo di seguito.

Prima di tutto, però, la poesia:

Nel nostro cielo c’è la stessa luna 

Penso con raccapriccio alla rovina, 

alle persone in fuga per la via, 

immagino l’orrore e l’agonia, 

per i tuoi figli, nobile Ucraina. 

L’anima mia stanotte ti è vicina, 

e si dispera per questa follia, 

mi sembra come fosse casa mia 

la guerra sanguinosa ed assassina. 

Vedo le luci dei bombardamenti 

e penso ai tuoi bambini e alla paura, 

mi chiedo qual destino ci accomuna. 

Io sento nel mio cuore i tuoi tormenti, 

non è soltanto tua la sorte oscura. 

Nel nostro cielo c’è la stessa luna. 

1) Quando è nata la sua passione per la poesia?  

È nata abbastanza presto. Ho scritto la mia prima poesia all’età di undici anni, ma è stato dopo i quindici che ho iniziato a scriverne davvero molte. Erano essenzialmente poesie d’amore, nelle quali davo sfogo ai miei sentimenti per delle passioni quasi sempre non corrisposte. 

Non ho scritto poesia in tutti gli anni della mia vita. Ci sono stati periodi lunghi, anche molto lunghi, in cui non ho scritto neanche un verso. Poi, pochi anni fa, mi è scattato qualcosa dentro, e ho iniziato a scrivere poesie quasi ogni giorno. 

2) C’è qualcosa o qualcuno che l’ha ispirato?  

Ai tempi della scuola leggere poesia mi piaceva molto. Leggevo i classici della poesia italiana, quelli che mi spiegavano in classe: Dante, Petrarca, Foscolo, Leopardi, d’Annunzio, Gozzano. E soprattutto la poesia classica, greca e romana. Mi piacevano molto i lirici greci, che leggevo nella traduzione di Salvatore Quasimodo (e che provavo a gustare anche in lingua originale): Saffo, Alceo, Anacreonte, Mimnermo. Ma leggevo e rileggevo anche Omero e la Teogonia di Esiodo. E poi la poesia latina: Virgilio, Orazio, ma soprattutto la poesia d’amore: Ovidio e Catullo. 

3) A quali poeti del passato si ispira, a quali vorrebbe assomigliare?  

Mi ispiro a molti (per esempio quelli che ho nominato nella risposta precedente), ma non vorrei assomigliare a nessuno di loro. La tradizione è importantissima, perché è una continua fonte di ispirazione, e perché è bello intrattenere un dialogo (anche se solo a livello mentale) con i grandi del passato. Ma un poeta deve avere una voce propria, che sia unica, altrimenti non aggiunge nulla, non è interessante per i lettori, è una (brutta) copia di qualcos’altro, non serve a niente. 

4) Nel XXI secolo c’è ancora bisogno di poeti e di poesie? A che servono? Non sarebbe meglio dedicarsi a qualcosa di più “innovativo”? 

Penso che più il mondo e la società divengono tecnologici, più la poesia sia necessaria, perché altrimenti ci si dimentica l’umanità. L’innovazione, il progresso, la tecnologia, la scienza, sono importantissime, ma se non sono accompagnate da una riflessione profonda, accattivante, attraente sull’umanità, sull’unicità dell’essere umano, rischiano livellare le persone rendendole tutte uguali. Per questo motivo, a mio avviso, nel XXI secolo la poesia è ancora più importante che nel XIII. La poesia non è qualcosa di antico, che appartiene al passato. La poesia ha il compito di guardare avanti, di svelare l’umanità che si rinnova giorno per giorno agli esseri umani. La poesia appartiene al futuro. 

5) Essere poeta può diventare un lavoro, o si deve svolgere qualche altra attività per guadagnarsi da vivere? 

Sono pochissimi i poeti che riescono a vivere dei soli guadagni della poesia. Si contano sulle dita di una mano. Parlo dell’Italia, ma non credo che all’estero sia diverso. Scrivere poesia è una passione, non è un mestiere. Per la maggior parte dei libri di poesia che si pubblicano in Italia, non solo gli editori non pagano nulla agli autori, ma molto spesso chiedono loro dei soldi come contributo alle spese di edizione. È una pratica non solo eticamente scorretta, ma anche profondamente disonesta. Eppure ci sono molti autori che cedono a questo ricatto, e pagano i soldi richiesti dall’editore truffaldino, pur di avere la soddisfazione di tenere tra le mani il proprio libro stampato. 

6) Quanto è importante nella sua vita la poesia: è solo un hobby, è una passione, una ragione di vita o cos’altro? 

La poesia per me è molto importante, sia quando la leggo che quando la scrivo. Definirla hobby è riduttivo; definirla ragione di vita forse è troppo; direi che passione può essere la parola giusta. 

Quando la leggo, mi aiuta a vedere il mondo con occhi diversi, a comprendere la bellezza delle cose, di quelle che sono già oggettivamente meravigliose, ma anche di quelle normali, di quelle più semplici, che spesso nemmeno notiamo; addirittura di quelle tristi, di quelle disperate. Quando si dà a qualcosa una forma piacevole (tramite una scelta attenta della parole, una loro speciale disposizione nel verso, tramite il ritmo che si impone alla poesia, per mezzo della musicalità), ogni cosa viene accettata meglio, è possibile riflettervi su con maggiore attenzione.  

La poesia è il luogo in cui le parole evolvono, si definiscono, acquistano nuovi significati. Ogni buon prosatore dovrebbe leggere poesia, perché essa è la palestra del linguaggio, di ogni linguaggio. 

Quando invece la scrivo, la poesia è il modo più bello e appagante che ho per intrappolare in una forma chiusa il flusso continuo delle mie emozioni. Mi aiuta a elaborarle meglio, a rendere più accettabili quelle negative, può farle diventare addirittura belle. La poesia è la mia arma segreta contro me stesso, il modo che ho per capirmi meglio, e anche se naturalmente non risolve i miei problemi, può essere un punto di partenza per affrontarli in modo migliore. 

7) Prova e pensa veramente le cose che scrive nelle poesie?  

Assolutamente sì. La sincerità è fondamentale nella poesia, come nella letteratura in genere. Senza la sincerità la poesia non funziona. È abbastanza facile capire se un poeta non è sincero. Normalmente, scrive delle brutte poesie. Si possono raccontare anche cose inventate, del tutto immaginarie, ma occorre farlo con sincerità. Nel mio caso specifico, la mia poesia è spesso di natura diaristica. Quasi sempre racconta esperienze concrete della mia esistenza, che ovviamente vengono plasmate, trasformate, trasfigurate, perché è questo che fa l’arte; ma non di meno rimangono assolutamente vere, del tutto sincere. 

8) Come si fa a esprimere pienamente le proprie emozioni davanti a un foglio bianco?  

Per quel che mi riguarda, di solito mi viene in mente un verso, senza che io ci pensi, così all’improvviso. Sembra qualcosa di magico, ma io credo che quel verso maturi lentamente nel rimuginio dei miei pensieri. Non è necessariamente il primo vero della poesia, può essere anche l’ultimo, o uno che starà nel mezzo. Io poi scrivo in rima, quindi a partire da quel verso ne nascono altri che rimano con quello, e pian piano la poesia si sviluppa. L’importante è avere bene in mente cosa si voglia dire. Quel primo verso è importante, ma se non è portatore di un significato più ampio, da indagare e sviluppare, la poesia muore lì. 

9) Noi abbiamo letto la sua poesia dedicata all’Ucraina. Perché ha deciso di scrivere una poesia su questo argomento? Può servire a qualcosa? Può fermare Putin o i soldati russi?  

Naturalmente la mia poesia non fermerà Putin e nemmeno i soldati russi. Non lo farebbe nemmeno se qualcuno gliela portasse e gliela facesse leggere. Naturalmente non l’ho scritta per questo motivo. Però ritengo che, di fronte a una situazione di grave ingiustizia, chiunque abbia il dovere di levare una protesta, di esprimere solidarietà, di rappresentare l’orrore per quello che è. Ciascuno può farlo con i propri strumenti. Gli artisti proveranno a creare delle opere d’arte. Chi non si serve dell’arte può parlarne con gli amici, in famiglia, con i propri figli. Se tutti esprimono la propria indignazione si crea una coscienza condivisa sempre più ampia. E questa sì, se avesse una dimensione globale, forse potrebbe anche arrivare a fermare i carri armati russi, chissà. 

10) In Russia, in questi giorni, le persone che protestano vengono arrestate, c’è stato anche il caso di una giornalista che ha scritto un cartello contro la guerra e lo ha mostrato in diretta in televisione. Loro, scrivendo o parlando a favore della pace, rischiano molto, noi non rischiamo nulla, allora che senso ha quello che possiamo scrivere o dire?  

Per una popolazione aggredita, sofferente, è molto importante sentire la solidarietà degli altri popoli. Naturalmente ci sono vari modi per esprimerla. I politici possono offrirsi di fare da intermediari per la pace. Gli uomini comuni possono fare donazioni, ospitare dei profughi, andare a fare volontariato negli scenari di guerra. Naturalmente queste sono cose importantissime, le più importanti. Ma è importante anche esprimere con tutti i modi possibili la propria solidarietà con i popoli sofferenti. Forse la maggior parte di questi messaggi di solidarietà non arriverà fino a loro, ma servirà alle altre popolazioni per stabilire una vicinanza emotiva importantissima, che potrebbe avere il potere di suscitare risposte più forti. 

11) Ha pensato di tradurre la sua poesia in ucraino per farla arrivare in qualche modo a quella gente?  

No, non ci ho pensato. Però non è una cattiva idea. Chiederò a qualcuno, grazie. 

12) Nella sua poesia, lei definisce l’Ucraina “nobile”, perché?  

In latino «nobile» significa «degno di essere conosciuto». Io ritengo che chiunque stia sperimentando una grande sofferenza sia degno di essere conosciuto. Io so molto poco dell’Ucraina, come la maggior parte di noi italiani. Ecco, ritengo che in questo momento storico sia giusto informarsi, conoscere la storia travagliata di questa nazione. Ma sia anche il momento di conoscere i figli di questa nazione, di ospitare i loro profughi nelle nostre case, di ascoltare le loro storie. 

13) Lei scrive, a proposito delle sofferenze del popolo ucraino “sento nel mio cuore i tuoi tormenti”: ma è davvero possibile immedesimarsi nel dolore di un altro? A che serve, nella vita, l’empatia? È importante per essere veri uomini? Ed è importante per essere un poeta?  

L’empatia per me è la qualità più importante per un essere umano. Ciascuno di noi desidera di essere compreso, sia nei momenti belli che in quelli brutti. È per questo che cerchiamo degli amici. Ed è per questo che, quando gli amici non ci bastano, ci affidiamo a uno psicologo. In questi giorni ho riflettuto molto su come debbano sentirsi gli ucraini, e ho sentito la loro sofferenza in modo così profondo che è penetrata nel mio cuore. Certo, non potrò mai immedesimarmi completamente nel loro dolore, ma avvicinarci a esso quanto più si può è secondo me ciò che fa di noi degli esseri umani. 

14) Perché ha deciso proprio di scrivere un sonetto?  

Non ho scritto sempre sonetti nella mia vita. Lo sto facendo da poco più di due anni. Un anno fa ho pubblicato un libro in cui ce ne sono cento, e nel frattempo ne ho scritti numerosi altri. Il mio desiderio era quello di dimostrare che si può usare una forma poetica tra le più classiche della tradizione italiana senza sembrare antiquati, e facendolo usando parole contemporanee, attingendo a tutti i linguaggi: quello medico, quello farmacologico, quello informatico, quello dei social, quello colloquiale.  

Il sonetto è una forma che mi ha sempre affascinato. È formato da due quartine, ovvero due strofe di quattro versi ciascuna, e due terzine, due strofe di tre versi. Nelle quartine, di andamento più lento e solenne, si esprime la tesi della poesia, nelle terzine, più rapide e puntuali, si pone lo scioglimento. Il tutto accompagnato da uno schema di rime che lo rende molto godibile e musicale.  

Perché ho scelto il sonetto? Perché è una forma che mi piace molto. Ma ovviamente è una posizione del tutto personale. 

15) Come si fa a rispettare uno schema di rime e le regole della metrica (per esempio scrivere versi che abbiano tutti lo stesso numero di sillabe?). Non sarebbe più facile scrivere in versi liberi? 

Certo che sarebbe più facile. Ma io trovo che, per la mia poesia, sia più adeguata la forma chiusa, quindi il numero esatto delle sillabe, fa formulazione fissa delle strofe (anche se ci possono essere sonetti con più di quattordici versi, ma questa è un’altra storia), lo schema delle rime. Non è semplice, ma nemmeno così difficile. John Keats, un importantissimo poeta del Romanticismo inglese, faceva delle gare con i suoi amici poeti per comporre sonetti su un tema stabilito in quindici minuti. Ora, quindici minuti vi assicuro che sono pochissimi, ma i suoi sonetti sono splendidi. 

Con ciò non voglio sostenere che la forma chiusa sia migliore del verso libero. Questa è la mia scelta personale (e controcorrente), ma rimane la mia. Poi ci sono tantissime poesie in versi liberi che leggo e apprezzo quotidianamente, per carità. 

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